Cristina, la giovane donna dei ‘tre cuori’

Un coraggio e una fiducia che non hanno uguali. Cristina Zambonini, è ossolana (piemontese doc), ha solo 35 anni, ma ha molte storie da raccontare, almeno per quanto riguarda i trapianti di cuore: ne ha ricevuti 2 nella sua breve vita. Nel 2006, a diciannove anni, a causa di una cardiomiopatia dilatativa fulminante, viene messa in lista per un trapianto di cuore, l’unica opportunità che può salvarle la vita, e un mese più tardi a Bergamo, lo riceve in dono. Dieci anni dopo il trapianto, una complicanza: un grave rigetto cronico la costringe ad affrontare un secondo trapianto cardiaco.

Quale segno di riconoscenza per il suo percorso e per dare supporto a chi è in attesa, come lei, di un cuore nuovo, nel 2017 fonda insieme a sei amiche “Cuori 3.0 onlus” con l’intento di sensibilizzazione alla donazione, ricorrendo anche a iniziative leggere, come concerti, mostre d’arte, feste. “Parliamo di donazione e trapianti con ‘leggerezza’ – racconta Cristina – perché la drammaticità della donazione è già implicita in sé”. E per sostenere il suo impegno collabora attivamente con diverse associazioni, tra cui AIDO, ACTI, ADMO, AVIS e con il Centro Nazionale Trapianti. Lo scorso Novembre, insieme ad altri 33 italiani, cittadine e cittadini che si sono distinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel volontariato, per l’attività in favore dell’inclusione sociale, nella cooperazione internazionale, nella promozione della cultura, della legalità, del diritto alla salute e dei diritti dell’infanzia, è stata insignita dal Presidente Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: “Per il suo esempio di forza d’animo e per l’appassionato contributo nella promozione della cultura del dono”. La sua storia è un insegnamento importante per chiunque crede nel valore e nell’unicità della vita, da proteggere e offrire agli altri.

 

Il trapianto d’organo: una soluzione potenziale per le malattie rare

Le malattie rare colpiscono meno di 1 persona ogni 2.000; nell’80% dei casi sono di origine genetica e per una parte di queste malattie i sintomi sono già presenti alla nascita, in altre insorgono invece nei primi anni di vita. Tutte però sono accomunate dalla difficoltà/ritardo diagnostico e dalle scarse opportunità di cura.

Secondo un recente studio pubblicato su una intervista internazionale (Orphanet Journal Rare Disease), il trapianto è tra le opzioni terapeutiche tali da poter rappresentare il trattamento definitivo per l’insufficienza d’organo allo stadio terminale, sia nei bambini che negli adulti con malattie rare. A conferma di questa tesi, gli autori hanno selezionato dal Registro Trapianti del Centro Nazionale Trapianti Italiano oltre 49.400 pazienti, di cui il 5,1% in età pediatrica, che nel periodo 2002-2019 hanno ricevuto un trapianto di cuore, polmone, fegato o rene. Per 40.909 (82,8%) trapiantati, di cui 38.615 adulti, era disponibile una diagnosi di malattia, nei restanti 8.495 pazienti (17,2%) la causa non era invece nota. Nella popolazione pediatrica, tra le 128 malattie che risultavano la causa della necessità di trapianto, 117 erano malattie rare. 2.294 piccoli pazienti (5,6% rispetto al totale dei trapianti registrati in questo periodo in Italia) avevano ricevuto una diagnosi di malattia: il 92,7%, pari a 2.126 pazienti, di malattia rara, il 61,1%, ovvero 1.402 pazienti, di un difetto di un solo gene (condizione monogenica). «Lo studio ha permesso di osservare – commenta il professor Antonio Amoroso, Responsabile del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – che i bambini, rispetto agli adulti, avevano una sopravvivenza complessiva migliore a dieci anni dal trapianto rispetto agli adulti, con l’eccezione dei trapianti di polmone dove le sopravvivenze di adulti e bambini erano analoghe.

Inoltre, è emersa un’altra informazione importante: in generale, i bambini che avevano malattie rare mostravano sopravvivenza migliori rispetto ai bambini con malattie comuni. Si tratta di un lavoro importante: è la prima indagine internazionale che ha ‘messo a fuoco’ le principali cause genetiche e le frequenze di malattie rare e/o monogeniche che portano a insufficienza d’organo e che richiedono il trapianto sia negli adulti che nei bambini». Un dato da cui potranno svilupparsi nuovi progetti di ricerca per offrire migliori opportunità diagnostiche e di cura al paziente.

La Città della Salute leader (anche) nel trapianto di rene

40 anni che hanno fatto la storia del trapianto di rene in Regione Piemonte: il primo avveniva nel novembre del 1981 presso il Centro trapianti renali “A. Vercellone” delle Molinette, l’ultimo – che ha consentito di tagliare il traguardo di oltre 4 mila trapianti – è avvenuto grazie alla generosità di un donatore deceduto “a cuore fermo”, cioè con morte accertata secondo criteri cardiologici. Alle Molinette di Torino, nel novembre 2021 è stato effettuato anche il 247° trapianto di rene da donatore vivente, che – con i 153 trapianti eseguiti a Novara – ha permesso di raggiungere quota 400 in Piemonte: un altro fiore all’occhiello per Città della Salute. Numeri ed expertise che hanno consentito alla Regione Piemonte e Valle d’Aosta di qualificarsi come territorio di eccellenza, in Italia, per i trapianti d’organo, nello specifico di rene, e all’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino di diventare struttura di riferimento a livello nazionale.

Obiettivi raggiunti grazie a un lavoro di squadra: «Quanto abbiamo ottenuto – spiega il professor Antonio Amoroso, Responsabile del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – è stato possibile grazie alla generosità ed all’altruismo diffuso nella popolazione piemontese, all’impegno dei Centri di Rianimazione di tutti gli ospedali di questo territorio, all’aumento del trapianto da donatore vivente, al potenziamento dell’iscrizione in lista con allargamento a pazienti sempre più complessi, alla politica aziendale di rafforzamento del programma anche sulla linea della continuità, impegni perpetrati e perseguiti anche in epoca di pandemia».

A ciò si è aggiunta la lungimiranza del Centro Regionale che si è ‘aperto’ anche a valutare e accogliere criticità, considerate da altre strutture una esclusione al trapianto, quali riceventi e donatori anziani, l’esecuzione di trapianti di rene da donatore a cuore fermo, ritrapianti, trapianti renali in condizioni di urgenza, trapianti ad alto rischio di rigetto, trapianti renali combinati con altri organi attuati con la collaborazione di équipes specifiche d’organo, trapianti da donatore vivente con gruppo sanguigno diverso. «Si tratta di realtà – aggiunge Amoroso – che sono ormai entrate nella pratica clinica quotidiana del nostro ospedale. Di questo va reso merito alla competenza e alla passione di tutti gli operatori che non si risparmiano per ottenere le massime performance e offrire ai nostri pazienti il più alto livello di cura e assistenza».

Il successo del programma di trapianto è frutto, infatti, della cooperazione di differenti competenze, interagenti e tutte indispensabili, che partecipano al momento del trapianto e/o nel follow-up dei pazienti trapiantati: il Coordinamento regionale Trapianti, il Coordinamento regionale Prelievi d’organo e tessuti, il Centro Trapianto, il Centro Trasfusionale, i Laboratori, e moltissime altre divisioni. Un lavoro ‘di rete’ che ha consentito di contare al 31 ottobre 2021, 4016 trapianti di rene, di cui 165 trapianti di entrambi i reni, 47 trapianti di rene da donatori a cuore fermo, 59 trapianti combinati di rene e pancreas ed 85 trapianti combinati di rene e fegato, 5 di rene e cuore ed 1 di polmone e rene. «Grazie a questa intensa attività di trapianto – conclude Amoroso – in Piemonte il numero dei pazienti nefropatici curati con il trapianto sta sopravanzando quello dei pazienti curati con la dialisi, avvicinandosi al sorpasso, secondo i dati dell’Osservatorio regionale per la Malattia renale cronica».

La storia di Matteo, ‘rinato’ alla vita dopo un trapianto di fegato

Ora è tornato sul campo da basket: solo un anno fa lo sport sembrava un ‘sogno’, un’attività impraticabile, mentre da 18 mesi era in attesa di un trapianto di fegato, a seguito di un tumore. La sua storia è stata definita ‘il miracolo di Natale’: la notte del 25 dicembre scorso arriva la notizia della disponibilità di un organo, risultato compatibile e trapiantato alle Molinette di Torino. Dal suo letto di ospedale testimoniava la gioia di avere ricevuto quel dono, una vita nuova, e le sue parole oggi sono portatrici di un appello forte alla donazione: «A tutti coloro che possono farlo dico, donate perché è un gesto che fa la differenza. Senza il mio donatore, i medici e i ricercatori oggi non sarei qui. La donazione è un atto ineguagliabile che salva realmente la vita».

Tutti noi possiamo esprimere la nostra volontà alla donazione di organi, per poter dare una prospettiva di speranza con il trapianto. I trapianti possono essere eseguiti in sicurezza a tutte le età; tuttavia, «è fondamentale rivolgersi a centri di elevata esperienza – conclude la dottoressa Anna Guermani, responsabile del Coordinamento Regionale delle donazioni e dei Prelievi di Organi e Tessuti – in cui effettuare un adeguato e corretto percorso per valutare la fattibilità e l’idoneità/compatibilità donatore-ricevente, affinché l’intero processo avvenga nel minor rischio possibile». E oggi sono molte le storie di donazione che si sono trasformate in possibilità di vita.

Buone notizie per la genitorialità

Anche in caso di trapianto di organi il desiderio di maternità non deve essere abbandonato. Anzi, uno studio americano della David Geffen School of Medicine dell’UCLA, pubblicato su una importante rivista internazionale (Jama Network Open), dimostra che le donne in gravidanza con una storia di trapianto di rene o di fegato possono avere il loro bambino con parto naturale senza alcun rischio per sé stesse, il nascituro o compromettere l’esito del trapianto.

Di contro si correrebbero più pericoli programmando un taglio cesareo, pratica invece in aumento tra le donne che hanno subito un trapianto di organi. Si tratta di uno studio i cui dati sono da ritenersi affidabili in quanto condotto su ampi numeri: oltre 1.800 donne incinte di età compresa tra 18 e 48 anni, di cui 1.435 già sottoposte a trapianto di rene e 430 di fegato.

Il 73% delle gravidanze si è concluso con un parto vaginale. «Lo studio – commenta il professor Antonio Amoroso, Responsabile del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – attesterebbe che mamme che hanno partorito con parto naturale e bebè stanno meglio di donne sottoposte a cesareo, dove i bambini sarebbero maggiormente esposti ad alcuni rischi, quali ad esempio problemi respiratori a breve e lungo termine, con necessità in alcuni casi di ventilazione meccanica. In buona sostanza, una volta valutate insieme ai medici di riferimento che esistano tutte le condizioni per poter effettuare un parto naturale, questo è più sicuro del cesareo e può essere consigliato e affrontato da giovani mamme trapiantate con sicurezza».

INDOOR, il progetto avanza!

Vi avevamo raccontato dell’impegno di Fondazione D.O.T. e di altri partner nella creazione di droni per il trasporto ‘via aerea’ di organi e materiale biologico. Ricordate? Il progetto sta avanzando bene, è stata avviata una nuova borsa di studio, assegnata all’Ing. Chiara Bosso e si stanno sviluppando le prime attività concrete. Sebbene l’obiettivo finale sia il traporto di organi, è necessario partire da scenari più semplici, anche se altrettanto utili, e così attualmente gli sforzi sono concentrati a valutare – con una prospettiva al futuro – come trasportare al meglio e nella maniera più efficiente e sicura possibile materiale biologico, come sacche di sangue e provette di sangue e/o di materiale biologico. Dunque, in attesa dell’autorizzazione di ENAC per il trasporto di campioni biologici e organi in ambiente urbano, cioè dall’Ospedale Molinette di Torino fino ad un altro punto cittadino, i ricercatori sono al lavoro sulle prime simulazioni, ovvero prove ‘sperimentali’ in laboratori e campi volo, in terreni e aree verdi (al di fuori della contesto urbano), in cui poter testare le capacità e potenzialità dei droni: l’aerodinamicità, le vibrazioni e temperature, il peso massimo (al decollo), ed altri parametri utili.

«Poiché il trasporto di materiale e campioni biologici in ambiente urbano richiede l’autorizzazione dell’ENAC – spiega Chiara Bosso – al momento ci stiamo concentrando sulle simulazioni. L’idea attuale è di eseguire le prime prove con due tipologie di droni, un “multicottero” e un “convertiplano”, che hanno le stesse funzionalità ma caratteristiche aereodinamiche, di atterraggio e decollo differenti. Di entrambi valuteremo le caratteristiche di volo e in funzione delle performance che mostreranno, sceglieremo il migliore e il più adatto al trasporto di organi e campioni biologici». Da un punto di vista teorico, in parallelo, si stanno studiando le proprietà vibrazionali del drone nei voli in assenza di ‘payload’, ossia senza carico, per poterle riprodurre su macchine di prova ed eseguire alcuni test funzionali: «Una volta ottenuti i dati sulle vibrazioni e sulle accelerazioni – continua Bosso – potremo riprodurre le stesse condizioni in corrispondenza di una macchina di prova, in grado cioè di generare vibrazioni e accelerazioni identiche a quelle che si verificano nel drone durante il volo. Ottenute queste informazioni, posizionando poi le provette sulla macchina, saremo in grado di osservarne la risposta ancora prima che vengano collocate sul drone».

I test di prova sono dunque finalizzati anche a capire quale dei due droni svolga al meglio il lavoro di trasporto in termini di efficienza e sicurezza. «In possesso di questi dati – precisa ancora Bosso – potremo avviare le prime prove sui droni, nei campi volo, per osservare il comportamento dei campioni a bordo, avendo già una idea di base grazie alle precedenti simulazioni». Passo successivo sarà la realizzazione di un contenitore idoneo, che risponda ai criteri di conformità, aerodinamicità, peso e forma compatibili con i droni, con il valore aggiunto che alcuni sensori (necessari al monitoraggio di alcuni parametri ‘vitali’ per il materiale biologico), come per la temperatura, le vibrazioni, e la localizzazione, sono già integrati nel drone stesso.

Il sistema per il mantenimento dell’isotermia sarà attivo, per una questione di pesi ed efficienza. In tal modo, sarà semplice incorporare nel sistema di monitoraggio della temperatura, anche il suo controllo.

I trapianti renali da vivente

Sono una ‘realtà’ in Italia, specie presso il Centro Trapianto Renale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara che, di recente, ha tagliato il traguardo di 152 trapianti da vivente, su un totale di 1433 trapianti d’organo eseguiti dal 2003, iniziati dopo 5 anni dall’apertura dell’attività del Centro. Il quale si qualifica tra i centri migliori anche per innovazione e sicurezza delle prestazioni: infatti all’AOU di Novara sono attivi tutti i programmi di trapianto da vivente compresi gli ABO incompatibili (contro gruppo sanguigno) e pre-emptive (esecuzione del trapianto prima della dialisi), senza contare che il Centro di Novara è entrato nel circuito nazionale e internazionale della Kidney-paired donation o “trapianto cross-over” promosso dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) e riservato a pazienti con problemi immunologici che non consentono la donazione diretta da parte dei familiari. Minima invasività delle tecnica trapiantologica e sicurezza del donatore garantita dal prelievo del rene dal donatore per via laparoscopica, dal trapianto di rene robotico, laddove necessario e da stretti follow-up del donatore e del ricevente a partire dalla prima della donazione/trapianto con l’esecuzione di test specifici (es. scintigrafia renale dinamica, valutazione GFR radioisotopico, Riserva Funzionale Renale dopo carico proteico) sono altri valori aggiunti e garantiti solo in pochi altri centri nazionali. Il Professor Antonio Amoroso, Responsabile del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte si unisce al plauso del direttore generale, dott. Gianfranco Zulian, rivolto ai professionisti dell’AOU di Novara che integrati in rete con dedizione prendono in carico il paziente e il donatore accompagnandolo attraverso un percorso di ritorno alla salute e al benessere. Per sensibilizzare, informare sul ruolo prezioso svolto da queste realtà sul territorio il 22 dicembre la nuova edizione di SaluTo, sarà inaugurata da un Tavola Rotonda dal titolo: “Torino: eccellenza dei Trapianti”.

Per ulteriori informazioni: link: www.saluto.net

Un importante traguardo scientifico e una ‘rinascita’ per i pazienti

400 trapianti di polmoni dal 4 settembre 1993, data in cui è stata avviata l’attività, ad oggi. Un numero che posiziona, ancora una volta l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino come l’eccellenza italiana in ambito di trapianti. Facendo un ‘bilancio operativo’ è possibile rilevare che la prevalenza, pari al 59% di trapianti al polmone eseguiti nel nosocomio torinese, sono stati bilaterali, seguiti dal 39% di trapianti monolaterali e dal 2% combinati con altri organi: in due casi con il fegato, 3 con il cuore, 1 con il rene, fino a 3 casi di trapianto al polmone bi-combinato con fegato e pancreas.

L’identikit configura nella gran parte dei casi un trapiantato d’organo in pazienti di età adulta, limitatamente nei bambini (22 pazienti) e in un numero ancora inferiore (17 casi) in soggetti già trapiantati per esito non andato a buon fine. In gran parte (2 casi su 3) sono pazienti di sesso maschile, con età media 50 anni, nel 38% dei casi residenti fuori Piemonte, affetti prevalentemente da enfisema e fibrosi polmonare idiopatica (32%) o fibrosi cistica (18%). Tutte condizioni cliniche che alla lunga richiedono un trapianto polmonare. Numeri che sottolineano non solo le ottime performance della struttura, ma anche la qualità delle prestazioni e dell’attività: il 64% dei trapianti eseguiti dal 2001 è risultato ben funzionante a 1 anno, in linea con i migliori dati nazionali ed europei. Ma non solo: Città della Salute ha apportato anche importanti novità quali, ad esempio, l’introduzione dal 2011 di una nuova modalità di rigenerazione dei polmoni con particolari dispositivi, una volta prelevati così da poter  incrementare i trapianti, ovvero potendo  disporre di 41 polmoni, altrimenti non utilizzabili. Procedura che è sicura: garantisce infatti una sopravvivenza del polmone ricondizionata sovrapponibile a quella di organi non trattati.

Nonostante i risultati clinici raggiunti, c’è ancora una importate criticità: il sensibile divario tra gli organi disponibili e i pazienti in lista di attesa per un trapianto. Solo in Piemonte sono 72. «Occorre l’impegno delle Istituzioni e delle Associazioni di volontariato – dichiara il professor Antonio Amoroso, Responsabile del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – per sensibilizzare ogni cittadino all’importanza ed al valore della donazione dei propri organi dopo la morte, per aiutarli a fare una scelta consapevole. Siamo grati a quanti in vita esprimono la volontà alla donazione o in loro vece ai familiari, consentendoci di offrire un’opportunità di cura e di vita a chi non ne aveva. Sono tanti i pazienti che considerano il giorno in cui hanno ricevuto il trapianto una rinascita, festeggiando quel momento un secondo compleanno».

Il progetto INDOOR

Il progetto INDOOR (usING Drones fOr Organ tRansportation), destinato a testare l’efficacia, la sicurezza, la fattibilità dell’utilizzo di Aeromobili a Pilotaggio Remoto – ovvero dei droni – nella medicina di trapianti, ha riscosso un successo e l’attenzione mediatica di giornali, radio e tv, ben oltre le aspettative. Segno, forse, che il Paese, la collettività hanno bisogno di buone notizie, di credere nel potere della scienza e della medicina, nel successo dell’innovazione nella ricerca e tecnologia. Ancora oggi da quando Fondazione D.O.T., con la collaborazione del Politecnico di Torino, della Città della Salute e dell’Università di Torino, ha ‘reso pubblica’ l’iniziativa giungono richieste per capirne di più: come funzionerà questo trasporto del futuro? quali sono le attese per vedere volare i droni in cielo?

Ricercatori, tecnici, medici sono ottimisti. Presto, dicono, probabilmente già entro la fine del 2021 o il primo trimestre del 2022. Con l’autorizzazione di ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) all’avvio della sperimentazione, si potrà partire con i primi trasporti a breve raggio e poi via via sempre a più lunga distanza.

In valutazione la possibilità di attivare nuove borse di studio da parte dell’Università di Torino e del Politecnico per proseguire negli obiettivi del progetto.

 

Il ‘valore’ della collaborazione internazionale

Praga e l’ospedale Infantile Regina Margherita di Torino; una ragazza della Repubblica Ceca deceduta per annegamento e un ragazzo italiano di 12 anni affetto da una grave malattia del muscolo cardiaco scoperta per caso e che ha richiesto nell’immediato l’impianto di un cuore artificiale: sono i protagonisti di un’altra storia di trapianto pediatrico innovativo, anche questo a lieto fine, nonostante le iniziali premesse critiche. Infatti, dopo l’impianto del cuore artificiale, il ragazzo continua comunque a peggiorare e il suo bisogno di un cuore nuovo diventa una ‘emergenza-urgenza’. La macchina dei trapianti italiana si attiva: la richiesta dal Centro Regionale Trapianti del Piemonte si irradia alla rete internazionale europea. E una notte, ecco la buona notizia: forse un cuore compatibile c’è, ma si trova a Praga. Il dottor Federico Genzano Besso, di turno quella notte, accertata con i cardiochirurghi pediatrici la compatibilità tra il cuore offerto ed il ragazzo, avvia tutte le procedure per rendere possibile il trapianto; si organizza un volo per l’équipe di prelievo, diretta dalla dottoressa Maria Teresa Cascarano, che in circa 90 minuti raggiunge la capitale della Repubblica Ceca, il cuore viene prelevato, portato a Torino, reimpiantato nel petto del dodicenne che ha ricominciato a sperare e a vivere una vita nuova.

La generosità del Piemonte, una delle regioni italiane con il più alto tasso di donazioni, grazie anche all’incessante lavoro del Coordinamento Regionale per le donazioni ed i prelievi, diretto dalla dottoressa Anna Guermani, non è bastata: è stato necessario ricorrere alla collaborazione nazionale ed internazionale: «Ancora una volta – dichiara il professor Antonio Amoroso (Direttore del Centro regionale trapianti) – l’impegno di un’enorme squadra di professionisti, unito alla generosità di una famiglia che ha acconsentito alla donazione, ha reso possibile salvare una vita umana».