Il futuro dei trapianti

I trapianti funzionano! A 5 anni il 95% dei pazienti con trapianto di rene è vivo, il 90% fra i trapiantati di fegato, 75% di cuore, 49% di polmone. Naturalmente il miglior successo del trapianto è dettato anche dalla maggior compatibilità tra soggetto donatore e ricevente e la ricerca sta puntando a definire quanto più possibile e con la maggiore accuratezza possibile la più alta affinità fra i due soggetti in relazione a specifici parametri. Le direzioni future della ricerca sui trapianti riguardano lo studio di molti più aspetti del genoma focalizzando l’attenzione a specifiche varianti genetiche (gli antigeni minori di istocompatibilità) e a biomarcatori che possono determinare il maggior rischio di rigetto. Fra questi ultimi, l’analisi del DNA libero circolante. «A seguito della morte della cellule – precisa Amoroso – una quota di DNA proveniente dalle cellule dell’organo trapiantato viene rilasciata nel sangue e può essere analizzata con un prelievo di sangue. Queste informazioni sono già utilizzate per studiare, con la biopsia liquida, le alterazioni genetico-specifiche per tumore e/o per determinare le caratteristiche del genoma fetale in relazione a specifiche patologie genetiche. Nel caso dei trapianti, il DNA circolante permette di riconoscere una variazione della quantità di DNA libero circolante di derivazione del donatore nei riceventi di trapianto per valutare il rischio di rigetto». Ancora in tema di medicina rigenerativa, si sta cercando di capire se sia possibile riparare specifiche funzioni dell’organo senza dover ricorrere al trapianto. «Nel corso di un trapianto di fegato – aggiunge Amoroso – a Torino, sono state prelevate e poi coltivate in laboratorio cellule staminali di origine epatica. Una volta espanse, queste sono state reinfuse nel fegato di 3 piccoli affetti da difetti del ciclo dell’urea: l’inoculazione ha loro consentito di arrivare fino all’anno di età ed essere messi in lista per il trapianto. L’ultimo indirizzo, molto attuale, riguarda l’utilizzo di organi animali umanizzati, ovvero la possibilità di fare ricorso, ad esempio, a organi di maiale, ingegnerizzati con la tecnica di editing genetico CRISP-CAS9. Questa opportunità potrà in parte sopperire alla scarsa disponibilità di organi umani e accorciare le attuali lunghe liste di attesa dei trapianti di organi».

Il 5×1000

Buone notizie per il trapianto di polmone

Gli ultimi dati diffusi dal recente rapporto di qualità del Centro nazionale Trapianti (CNT), riferito all’attività in Italia nel periodo 2002-2019, attestano che il tasso di sopravvivenza a un anno per il trapianto al polmone è di oltre il 71% e a 5 anni quasi del 50%. Il rapporto fornisce una panoramica sull’attività di ogni singola struttura ospedaliera dotata di un centro trapianti di polmone (in Italia ci sono 12 centri specializzati/autorizzati) e dell’intero percorso assistenziale dei pazienti: dall’iscrizione in lista d’attesa alla probabilità di essere trapiantato fino ai risultati dell’intervento. Dal 2002 al 2019 sono stati eseguito, solo per il polmone 2.021 trapianti. «La valutazione degli esiti – ha spiegato Massimo Cardillo, direttore del CNT – è uno dei compiti più importanti del CNT perché consente alla Rete trapiantologica di analizzare nel dettaglio l’attività clinica e assistenziale, di identificare le criticità e di intervenire prontamente per risolverle». Conoscere il numero delle attività dei singoli centri è solo uno dei tasselli che consentono oggi l’efficacia del sistema donazione-trapianti, molto sta apportando la ricerca come, ad esempio, avere scoperto che alcuni geni possono condizionare il rigetto: «Un nostro recente studio – aggiunge il Professor Antonio Amoroso, direttore del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti della Città della Salute, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, e rappresentante di Fondazione D.O.T. (Donazione Organi e Trapianti) – che ha preso in esame 2.700 coppie donatore-ricevente, nello specifico per il trapianto di rene, ha evidenziato che il gene LIMS1 contribuisce a compromettere l’esito del trapianto. Poiché la proteina LIMS1 è espressa anche in altri organi, come cuore e polmoni, ci auspichiamo di poter applicare questa scoperta anche nell’abbinamento di persone compatibili al trapianto per altri organi e di conseguenza migliorare l’esito dei trapianti stessi».

La conoscete la storia dei trapianti?

È lunga e interessante. «Il primo trapianto è testimoniato in un’opera d’arte che ritrae Cosma e Damiano intenti a impiantare un arto di un paziente ferito prelevandolo da una persona deceduta: era il 350 d.c., l’epoca di Diocleziano – racconta il professor Antonio Amoroso, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, nel corso della sua relazione “I trapianti d’organo in Piemonte: storia e prospettive” – tenuta di recente. La storia moderna dei trapianti inizia nell’antivigilia di Natale, circa 70 anni fa, quando Murray eseguì il primo trapianto di rene tra gemelli geneticamente identici, eludendo il rischio di rigetto (che resta ancora la maggiore criticità del successo dei trapianti), ovvero il corpo che non riconosce come proprio il ‘nuovo’ organo impiantato e lo rifiuta. Seguirono, a questo, un trapianto di fegato – altra tappa importante – un trapianto di polmone fino alla vera ‘rivoluzione’ segnata nel 1977 dall’impianto di cuore da un soggetto deceduto, ricevendo notorietà internazionale, fino agli anni ’80 con il primo trapianto combinato cuore-polmoni. L’Italia, in ritardo di circa 10 anni rispetto al resto del mondo, esegue il primo trapianto di rene nel 1966 alla Sapienza (Roma) e negli anni ‘80 quello di fegato cui è seguito il primo trapianto di cuore che, anche da noi, ebbe una rilevanza importante, fino agli anni ’90 con il trapianto di polmone e così via. In Piemonte il primo trapianto di rene è avvenuto il 5 Novembre 1981 alle Molinette, e 10 anni più tardi il primo trapianto di cuore ed il primo di fegato, seguiti a metà degli anni ’90 dal polmone, fino al primo trapianto di pancreas avvenuto a cavallo del nuovo millennio». Gli appuntamenti nella storia dei trapianti sono davvero tanti: i primi trapianti di rene a Novara, i primi trapianti di fegato da vivente, il primo trapianto di solo una parte del fegato,  i primi programmi di trapianti pediatrici, i primi trapianti combinati e molto altro ancora. «Fondamentale – continua Amoroso – nel determinare il successo dei trapianti, è stata l’identificazione e definizione della compatibilità tessutale, ovvero l’abbinamento tra donatore e ricevente di alcuni geni, nel caso specifico dell’uomo dei geni HLA che sono ‘unici’ e differenti in ciascun individuo, e che indicano la compatibilità dell’organo tra donatore a ricevente, aumentando le probabilità di successo del trapianto stesso. Si è anche capito che i geni HLA e le loro specifiche varianti aumentano la propensione allo sviluppo di determinate malattie e che i criteri di istocompatibilità sono fondamentali anche per misurare la risposta immunitaria nel soggetto sottoposto a trapianto». La nascita di questa disciplina nasce negli anni ’60 del secolo scorso, con l’identificazione dei primi geni HLA e delle loro varianti. Da quel momento fino al 2021 si sono scoperti numerosi geni HLA e più di 30.000 varianti di questi geni che sono tutte inserite in un apposito archivio. L’apice dei trapianti, in Italia, è stato raggiunto nel 2017 con quasi 4 mila trapianti di organo solido eseguiti. A questi si aggiungono anche i trapianti di midollo osseo o meglio di Cellule Staminali Emopoietiche: il primo avvenne in America nel 1957 e alla fine degli anni ’80 si registra il primo trapianto di cellule staminali recuperate da cordone ombelicale. E in Italia? Il primo trapianto di midollo ha avuto luogo a Firenze, sebbene la ‘capitale’ per questi specifici trapianti sia Genova, mentre a Torino il primo è stato eseguito su un bambino all’ospedale pediatrico nel 1987 e sull’adulto negli anni ‘90. «Per il trapianto di cellule staminali – precisa il Professor Amoroso – la compatibilità deve essere molto più rigorosa e si sono sviluppati criteri per un abbinamento della compatibilità fra donatore-ricevente ancora più accurato». Oggi nel mondo si fanno all’incirca 70 mila trapianti di cellule staminali ematopoietiche: l’Italia si colloca fra le nazioni con la più alta attività trapiantologica. In particolare, 2/3 dei trapianti sono autologhi, cioè il ricevente è anche colui che dona il midollo osseo, evitando problemi di rigetto che diviene un rischio importante se donatore e ricevente sono invece persone diverse. «I donatori di midollo osseo disponibili nel mondo, iscritti ai diversi registri che sono consultabile per cercale l’abbinamento giusto tra donatore e ricevente sono quasi 40 milioni, più di 650 mila dei quali in Italia e 70 mila solo in Piemonte. La città di Torino è nota anche per i primi trapianti sperimentali su una popolazione di studenti che nel 1969, hanno dimostrato che l’HLA è fondamentale per ‘influenzare’ il buon successo dei trapianti di cute tra familiari. Ricordate: si trapiantano anche tessuti, come cornee, cute, osso, vasi e valvole. Presso l’Ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino sono istituite le 6 Banche regionali dei tessuti nelle quali scegliere possibili donatori compatibili a riceventi. Infine, un ultimo dato: nel mondo solo nel 2019 sono stati eseguiti 153 mila trapianti di organi da circa 40 mila da donatori deceduti.

Un trapianto ‘famoso’

Qualche mese fa lo scrittore torinese Alessandro Baricco si è sottoposto presso l’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo, Torno, al trapianto di cellule staminali, donate dalla sorella Enrica, per curare una forma di leucemia. Aveva lui stesso dato notizia della sua malattia a tutti i suoi ammiratori e follower sui canal social i quali hanno partecipato, con vicinanza, al percorso di malattia dell’autore amatissimo dal suo pubblico: «Ehm, c’è una notizia da dare e questa volta la devo proprio dare io, personalmente. Non è un granché, vi avverto. Quel che è successo è che cinque mesi fa mi hanno diagnosticato una leucemia mielomonocitica cronica. Ci sono rimasto male, ma nemmeno poi tanto, dai. Quando hai una malattia del genere la cosa migliore che puoi fare è sottoporti a un trapianto di cellule staminali del sangue, cosa che farò tra un paio di giorni». ‘Forza Alessandro’ hanno scritto in migliaia sui social, incoraggiandolo. Ed è stato di buon auspicio: il trapianto di Baricco ha avuto una ‘narrazione’ felice. Buono l’intervento e il decorso post operatorio, dopo sole tre settimane, lo scrittore è tornato «a casa, finalmente. Grande gioia». Non sono mancate parole di gratitudine a chi lo ha accompagnato e assistito: alla sorella e a tutto il personale di Candiolo. «Ora si tratta di andare avanti a ricostruire, con pazienza e disciplina – ha scritto all’uscita dell’ospedale – sperando di vedere arrivare presto l’ora dei festeggiamenti. Nel caso, intendo farli durare per anni». E noi gli auriamo il meglio!

Il Progetto PerTravel avanza!

Ricordate i box per il trasporto di organi di cui vi abbiamo parlato ampiamente nei mesi dello scorso anno? Il lavoro di realizzazione procede: «Il progetto – spiega MariaChiara Franchini, Tecnico Perfusionista Clinical Specialist – è partito nella primavera dello scorso anno. Abbiamo cominciato a esaminare tutti i sistemi di trasporto degli organi disponibili, evidenziando la carenza di indicazioni ‘fisse’ che tutelassero al meglio l’organo da qualsiasi rischio lungo tutto il percorso, dal momento del prelevamento all’arrivo a destinazione. Ecco dunque la necessità, fondamentale, di ‘progettare’ qualcosa che consentisse il miglioramento del trasporto in sicurezza dell’organo, finalizzato anche al buon esito del trapianto». È nata così l’idea di sviluppare un sistema di trasporto statico, dato che le distanze da percorrere in Italia sono relativamente brevi, sostituendo il ghiaccio tradizionalmente e attualmente impiegato per la preservazione a temperatura dell’organo, con una tecnologia all’avanguardia, i PCM. Cioè dei pannelli in grado di mantenere la temperatura costante tra 2 e 8 gradi come stabilito dalle Linee Guida. «La scatola è ancora in fase di progettazione – continua la dottoressa -. Abbiamo provveduto alla realizzazione del prototipo della scatola isoterma, che contiene lo scompartimento dedicato a preservare e conservare l’organo, mentre il prossimo passo sarà la configurazione esterna della scatola, delle trasportabilità e del secondo scomparto per contenere i campioni biologici e la documentazione cartacea». Abbiamo parlato di avanguardia e innovazione: PerTravel sarà dotato anche di un tablet che permetterà di visualizzare in tempo reale i parametri di temperatura, interna all’organo e dei campioni biologici, e di geolocalizzarlo; il tutto completato da allarmi che invieranno degli Alert nel caso in cui durante il percorso accadessero imprevisti al box, come una caduta con possibile danneggiamento dell’organo. «Il tracciamento del box e dunque dell’organo – aggiunge Franchini – durerà fino alla consegna dell’organo e all’avvio delle procedure per il trapianto. PerTravel sarà inoltre associato a una App, che ha duplice funzione: local e Cloud. La componente local è parte integrante del tablet permettendo così all’operatore che trasporta l’organo di visualizzare i parametri di temperatura dell’organo e quelli dell’ambiente esterno. Inoltre un GPS consentirà di localizzare esattamente l’organo, mentre un accelerometro darà informazioni su eventuali cadute del box. L’App è dotata anche di una check-list che aiuta l’operatore a verificare i necessari passaggi per il ‘buon’ trasporto dell’organo fino alla consegna». I dati local verranno poi trasferiti tramite un codice QR, creato direttamente dall’App, al Cloud così da mantenere in ‘sicurezza’ i dati sensibili. In tempo reale tutti gli enti coinvolti nel trapianto – il Centro Regionale Trapianti, il Centro Nazionale Trapianti e il centro da cui l’organo è stato prelevato e il centro di destinazione – saranno costantemente informati. Si stima che il prototipo di PerTravel possa essere pronto prima dell’estate e possa essere presentato a settembre in occasione del Congresso Purification Therapies, organizzato da Aferetica, nella giornata dedicata integralmente al ‘tema trapianto’.

Al via un nuovo progetto di Fondazione D.O.T.

Si chiama “DOT Paquitop” (D.O.T. Personal Assistant Qu Italy TOrino Politecnico) il nuovo progetto di ricerca avviato da Fondazione D.O.T. Onlus in collaborazione con il Politecnico di Torino e l’ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino, finalizzato allo sviluppo di una piattaforma robotica mobile su ruote, che sia in grado di eseguire operazioni utili in ambiente ospedaliero, con particolare riferimento alle esigenze specifiche di pazienti, oggetto di trapianto di organi, tessuti e cellule. Un ‘robot’, dunque, che affianca gli operatori sanitari nell’esecuzione di operazioni di base che non richiedono necessariamente l’intervento di personale qualificato. Tra i numerosi scenari di impiego della robotica mobile in ambito ospedaliero, i principali ambiti attengono alla manipolazione e trasporto di piccoli oggetti (materiale di consumo, cartelle cliniche, campioni e provette da analizzare). Nello specifico questa funzionalità di base potrebbe essere impiegata per spostare materiale all’interno della struttura evitando il ricorso a personale sanitario; al monitoraggio in remoto, da parte dei sanitari, di pazienti in isolamento cautelativo i quali potrebbero servirsi del robot per interagire con il paziente stesso limitando i rischi di qualsiasi tipologia di contatto o, di contro, il robot potrebbe tutelare gli operatori sanitari in caso di pazienti infettivi, Covid positivi ad esempio. Il progetto avrà una durata di 6 mesi con un compenso lordo di € 10.000 e il vincitore, Lorenzo Baglieri, Ingegnere Meccanico, lavorerà presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica ed Aerospaziale del Politecnico di Torino e presso il PIC4Ser – PoliTO Interdepartmental Centre for Service Robotics , sotto il coordinamento della prof.ssa Carmen Visconte e la supervisione scientifica dei referenti della Fondazione D.O.T., proff. Antonio Amoroso e Giuseppe Quaglia. Seguiteci, sui social e sul sito di Fondazione D.O.T.: troverete aggiornamenti sull’andamento del progetto.

Trapianto di staminali a lieto fine in fratello e sorella positivi al Covid

L’Ospedale Molinette di Torino, nello specifico il Centro trapianti cellule staminali emopoietiche (CSE), annovera un altro primato: il primo intervento eseguito su donatore e riceventi, consanguinei (fratello e sorella), entrambi positivi al Covid, ma asintomatici e vaccinati. Il fratello, di 57 anni, dona il midollo alla sorella 63enne, affetta da leucemia acuta: unica possibilità per salvarle la vita. Con difficoltà e criticità aumentate dalla presenza del virus, ‘ospite’ potenzialmente pericoloso per chi deve essere sottoposto ad una terapia immunosoppressiva come i riceventi di trapianto.

A conferma ci sono i numeri: la mortalità per Covid dei pazienti sottoposti a trapianto oscilla tra il 20 e il 30%, sensibilmente superiore rispetto a quelle che si registrano in pazienti ‘normali’. Tutto era pronto per il trapianto: la ricevente si era già sottoposta a trattamento chemioterapico preventivo per distruggere le cellule neoplastiche, ma a due giorni dalla reinfusione delle cellule provenienti dal donatore, il tampone dà per entrambi esito positivo a Covid. Essendo la preparazione al trapianto avviata e donatore e ricevente essendo sempre risultati negativi a precedenti controlli, l’équipe del Molinette ha deciso di procedere all’intervento.

Il reparto viene svuotato e dedicato esclusivamente a questi due pazienti e l’iter avanza non senza difficoltà cliniche: la donna ha sviluppato infatti nel post-operatorio una affezione respiratoria che ha richiesto un trattamento con terapia (antivirale) specifica in pazienti Covid. «L’intervento si è concluso con successo – commenta il Dott. Alessandro Busca, responsabile del programma di trapianto di CSE delle Molinette – per entrambi. La paziente è in ripersa e verrà dimessa a breve non appena le condizioni cliniche e generali lo consentiranno, il fratello è a casa dove attende la sorella, felice di averla ancora a fianco».

Trapianto di reni: arriva un nuovo protocollo operativo

Il trapianto di reni sarà possibile anche in caso di donatori positivi a Covid. Lo stabiliscono le ultime ‘direttive’ del Centro Nazionale Trapianti, che pone al riguardo dei punti fissi: ovvero il trapianto di rene da donatore infetto sarà possibile in pazienti candidabili che abbiamo superato l’infezione nei 4 mesi precedenti oppure che abbiano completato il ciclo vaccinale, comprensivo di terza dose, non prima di 120 giorni dall’eventuale intervento. «Occorrerà procedere, inoltre, a una attenta valutazione del paziente- aggiunge il professor Amoroso-.

L’idoneità dei pazienti candidabili a queste nuova opportunità terapeutica, prevalentemente pazienti inseriti nelle liste di attesa in urgenza nazionale o regionale e quelli di difficile trapiantabilità per via di una condizione di iper-immunizzazione, verrà data da un team medico curante, mentre al paziente sarà chiesto di firmare un apposito consenso informato». Da novembre 2020, quando è partita l’attività coni primi prelievi di organi da donatori Covid+, l’Italia ha già eseguito 27 trapianti – 24 di fegato e 3 di cuore -, ottenendo il primato europeo.

Covid non ferma i trapianti

Covid non ferma i trapianti, almeno non a Torino, alle Molinette, neppure quando il caso appare ‘critico’ fin dagli inizi. Infatti per la prima volta la struttura ha eseguito con successo, grazie all’elevata expertise, un trapianto di fegato da donatore Covid positivo (un uomo di 47 anni deceduto per cause cerebrovascolari, risultato positivo al ricovero) a ricevente con infezione in atto, contratta dopo aver completato il ciclo vaccinale. Quest’ultimo è un uomo di 56 anni, affetto da cirrosi complicata da neoplasia epatica primitiva, una malattia irreversibile. L’équipe ha avviato l’intervento di prelievo e trapianto, secondo il protocollo del Centro Nazionale Trapianti (CNT), che permette la donazione di organi salvavita da soggetti con infezione da SARS-CoV-2 a candidati riceventi Covid negativi con un ciclo completo di 3 dosi di vaccinazione e con ultima somministrazione da meno di 4 mesi.

All’arrivo del ricevente, come previsto, è stato eseguito un tampone per la ricerca del virus che causa COVID-19, e in maniera inattesa il candidato al trapianto è risultato positivo, anche se non manifestava alcun sintomo. Dopo un confronto con il CNT e gli esperti nazionali, si è deciso – d’accordo con il paziente – di procedere con il trapianto poiché le garanzie di sicurezza erano ottime. L’intervento chirurgico, durato 7 ore, è stato eseguito dal professor Renato Romagnoli, coadiuvato dai suoi collaboratori in condizioni ‘difficili’ e più pesanti della norma, adottando tutte le necessarie misure anti-Covid e indossando idonei dispositivi di protezione.

L’abilità e la competenza dell’équipe ha fatto sì che il paziente, a meno di 24 ore e grazie alla buona funzione del fegato trapiantato, potesse essere estubato. Il post-operatorio si è svolto secondo le regole ‘restrittive’: il paziente è stato mantenuto in isolamento fino a che il tampone non si è negativizzato e secondo le tempistiche richieste dal trapianto. «Ancora una volta, lo sforzo multidisciplinare – dichiara il professor Antonio Amoroso, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – clinico e organizzativo di un grande ospedale italiano ha reso possibile una impresa che sembrava utopistica, dimostrando che la recente infezione da coronavirus non impedisce la donazione ed il trapianto di organi in sicurezza quando il ricevente ha completato il ciclo vaccinale».