Il traffico di organi

La notizia è balzata alle cronache a fine gennaio ma subito spenta: famiglie afghane in grave carenza di cibo o comunque impossibilitate a procurarselo vendevano i propri organi o dei propri figli, alimentando il mercato e il traffico illegale di organi nel mondo. Alla base del fenomeno c’è un bisogno insoddisfatto: la disparità fra organi disponibili e il numero effettivo di pazienti in attesa di trapianto.

In Italia e in Europa questa pratica è assente, ma è ben consolidata in contesti poveri: Nord Africa, Centro America, Sud est Asiatico. Un mercato che è gestito da organizzazioni criminose complesse: da un broker che tiene i contatti tra donatore e ricevente, un recruiter sul territorio che sonda la disponibilità a donare, un laboratorio e un ospedale. «Spesso queste attività – spiega Massimo Cardillo, direttore Generale del Centro Nazionale Trapianti – si svolgono in cliniche che fanno anche attività legali, secondo un recente report dell’Interpol, da cui la difficoltà di intercettazione ma anche di stima del fenomeno. Di norma si tratta di reni, più facilmente smerciabili e che non implicano la morte della persona».

Oltre al traffico di organi, esistono fenomeni paralleli come il turismo del trapianto allogenico. In Italia questi rischi non sussistono, grazie a forme di controllo o di sostegno alla donazione che porta il sistema una sorta di autosufficienza, ma anche al rigoroso monitoraggio e tracciamento delle donazioni sia da cadavere o da vivente che sono registrate a livello centrale dal Centro Nazionale Trapianti. Inoltre in Itala esiste una legge che dal 2016 prevede sanzioni anche molto pesanti per i clinici che si rendono responsabili di azioni illecite: dalla detenzione all’interdizione perpetua alla professione. «Fondamentale è prevenire il fenomeno – continua Cardillo – rendendo accessibile la procedura a tutti i cittadini e in Italia questo è possibile grazie al sistema universalistico), implementando il monitoraggio di organi e trapianti di italiani che si recano all’estero (e al riguardo esiste un database specifico) per intercettare eventuali situazioni potenzialmente illecite.

Infine disponiamo di una parte terza, cioè uno psicologo, un medico legale e il presidente della Commissione Parte terza (che è il coordinatore di un comitato regionale trapianti) che esamina la documentazione specifica a donazioni trapianti, parla con donatore e ricevente e cerca di capire la motivazione alla donazione, specie se si tratta di donazioni samaritane, ovvero di persone viventi che decidono di offrire un proprio organo a un malato, senza alcun legame familiare o affettivo. Non ultimo in Italia il trapianto da vivente è autorizzato da un Giudice. Con tutte queste norme è difficile ipotizzare un illecito». Infine in ambito trapianti è attiva la cooperazione tra paesi: un mutuo aiuto secondo cui, grazie a specifici accordi fra le autorità competenti (stipulate in Italia dal Ministero della Salute e dal CNR con le altre autorità locale) i Paesi prestano soccorso a quelli in maggiore difficoltà/carenza di organi al fine di offrire ai pazienti una possibilità terapeutica che salva la vita.

Xenotrapianti: una annosa questione

Stanno destando molta attenzione gli xenotrapianti, ossia organi sani prelevati da animale, più di frequente maiali, poi impiantati nell’uomo. La pratica è stata pensata e avviata per sopperire alla carenza di organi umani, una realtà con la quale ci si confronta sempre e che può mettere a rischio la vita dei pazienti in attesa di un trapianto d’organo, e comunque rappresentare una potenziale “soluzione” per accorciare le lunghe liste di attesa.

Tuttavia, recenti eventi stanno evidenziando alcune criticità legate a questa tipologia di trapianti, o meglio alla “fonte” dell’organo donato. «In America – spiega il Professor Antonio Amoroso, direttore del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti della Città della Salute, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, e rappresentante di Fondazione D.O.T. (Donazione Organi e Trapianti) – in un paziente sottoposto a trapianto di cuore geneticamente modificato da maiale sono state trovate tracce di un virus che attacca specificatamente i suini. A due mesi dal trapianto, l’uomo è morto sollevando diversi dubbi sull’utilizzo di organi animali quale possibile veicolo per introdurre nell’organismo umano nuovi agenti patogeni che non appartengono alla nostra specie. L’ipotesi è che il virus trovato nel DNA del paziente possa aver contribuito al fallimento del trapianto, sebbene i medici sostengano che non vi siamo prove della stretta relazione né sembra che l’uomo abbia avuto reazione di rigetto al cuore trapiantato, geneticamente modificato proprio per evitare questo rischio».

Qual è il messaggio che ricaviamo da questa esperienza? «Lo xenotrapianto potrebbe essere una potenziale opportunità – continua Amoroso – ma prima che possa diventare una realtà effettiva, entrando nella pratica clinica quotidiana, occorre far fronte e risolvere diversi aspetti: il rigetto innanzitutto, e l’utilizzo di organi OGM non è sempre la soluzione, assicurare il corretto funzionamento dell’organo trapiantato nel nuovo ospite, trattandosi comunque di un organo proveniente da una specie diversa da quella umana, ridurre quanto più possibile le probabilità di ingresso di nuovi agenti patogeni nell’organismo umano con potenziale diffusione  nella specie. Infine non possono essere trascurati problemi di ordine diverso da quello puramente clinico: questioni di natura teologica, antropologica, psicologica ed etica, fino a problematiche di carattere legali e procedurali». Insomma, una questione davvero complessa.

Epatiti fulminanti pediatriche in Italia: qual è la situazione?

L’attenzione al fenomeno da parte degli esperti è altissima ma la preoccupazione è ad oggi bassa: non si registra infatti un aumento anomalo del numero di epatiti di origine virali da virus minori rispetto a quelle che di norma si osservano in Italia. Questo dato fa ben sperare, anche grazie all’impegno e alle importanti misure di ‘sicurezza’ adottate dagli epatologi e epatologi pediatri sul territorio. «L’attenzione è tale – spiega il dottor Pier Luigi Calvo, epatologo, responsabile della Gastroenterologia Pediatrica del Presidio Regina Margherita dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – che l’Italia risulterà il primo paese in Europa, Inghilterra esclusa, per numero di casi segnalati: attualmente sono 35 di cui 12 in Lombardia e 6 in Piemonte, tutti riferibili a bambini sotto i 16 anni, con transaminasi >500 (solidamente si aggirano a 20-30), quasi tutti senza segni di insufficienza epatica».

I casi che devono maggiormente preoccupare, tra quelli segnalati, sono quelli che interessano bambini sotto i 6 anni che presentano dolore addominale, vomito, diarrea, ittero (colorito giallo della pelle) e transaminasi alte: così si sono presentati molti dei casi che hanno portato poi ad una indicazione al trapianto di fegato in Inghilterra. «L’“anomalia” – prosegue l’esperto – riguarda il fatto che non si tratta delle classiche epatiti di tipo A, B, C o E da cui l’interesse a raccogliere quante più informazioni possibili, monitorando il fenomeno per capire cosa stia succedendo. I dati raccolti in Italia finora rassicurano e non vi è alcun allarme che i casi attuali siano riferibili a un fenomeno anomalo per numeri e manifestazioni».

Sull’evento si sono fatte, comunque, varie ipotesi e la più probabile riguarda il coinvolgimento di un adenovirus: dei 163 casi oggi globalmente registrati, 126 sono stati testati per adenovirus e 91 sono risultati riconducibili ad esso. «Si ritiene, pertanto – conclude Calvo – che possa trattarsi di una “normale” infezione da adenovirus. Dopo il periodo di lock-down abbiamo assistito a un aumento delle infezioni virali soprattutto in bambini molto piccoli, dunque la mancata esposizione a agenti virali potrebbe essere una spiegazione plausibile. Oppure si sta pensando a una suscettibilità anomala, maggiore, da parte dell’ospite dovuta a una precedente infezione da Sars-CoV-2 che fungerebbe da fattore scatenante, ma l’ipotesi resta meno probabile. Il vaccino non ha alcuna (cor)relazione con l’epatite, infatti la maggior parte dei bambini non era vaccinato».

In attesa di informazioni più precise, si continua a tenere alto il livello di sorveglianza, aumentando se necessario le misure di attenzione adottate. Come si stima possa evolvere la situazione? Difficile fare previsioni certe, come Covid-19 ha insegnato.

Il progetto DOT Paquitop

Ancora pochi mesi e alle Molinette di Torino si potrà assistere ai primi test di un robot autonomo da affiancare al personale della Banca del Sangue. Ricordate? Ve ne abbiamo parlato. Si tratta di DOT Paquitop, una piattaforma per l’applicazione di robotica all’interno degli ospedali, sviluppata con il Politecnico di Torino nell’ambito dei progetti di ricerca di Fondazione DOT (Donazione Organi e Trapianti).

«Il progetto – spiega Luigi Tagliavini, Dottorando al secondo anno presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale dell’ateneo piemontese – è finalizzato alla realizzazione di un robot mobile su ruote in grado di fornire assistenza al personale delle strutture sanitarie, grazie ad una agile piattaforma e ad un braccio robotico capace di manipolare oggetti. Le applicazioni che attualmente stiamo sviluppando si inseriscono nell’ambito dell’assistenza di base al paziente, come portare acqua o dare informazioni utili durante la permanenza in ospedale, così da alleviare la pressione sul personale nell’eseguire questi semplici compiti.

La piattaforma robotica potrà effettuare anche altre operazioni facilmente automatizzabili, tra cui aumentare la frequenza di misurazione dei parametri vitali, stimolare attività riabilitative nel post-operatorio, effettuare un ulteriore controllo di corrispondenza tra la sacca di sangue e il paziente durante le trasfusioni oltre a quello eseguito dal personale sanitario, al fine di incrementare ulteriormente la sicurezza trasfusionale ». Tutte le informazioni cliniche o che attengono alla privacy del paziente vengono gestire e trattate direttamente sul dispositivo. In futuro, se l’azienda ospedaliera si doterà di altri strumenti robotici, si potrà sviluppare un’interfaccia per la gestione e la tutela delle informazioni che si integri con i sistemi informatici già presenti nella struttura.

Il progetto è in uno stadio abbastanza avanzato: «Siamo partiti da una piattaforma di nostra concezione nata per ambienti al chiuso – prosegue Tagliavini –adattandola alle esigenze dei pazienti che frequentano la Banca del Sangue per effettuare trasfusioni. In virtù della fondamentale importanza che la Banca del Sangue riveste nel “sistema trapianti”, è stata scelta questa struttura come prima applicazione per testare l’efficacia di utilizzo di questo tipo di tecnologie in ambito ospedaliero». Allo stato attuale la piattaforma è capace di muoversi autonomamente, evitare ostacoli in spazi circoscritti e di svolgere alcune piccole funzioni di manipolazione, quali l’avvicinamento di un tablet che svolge la funzione di interfaccia grafica.

Si stima che la piattaforma potrà essere testata all’interno dell’ospedale tra giugno e luglio. «Grazie a questa borsa di studio – dichiara il vincitore, Lorenzo Baglieri – e alla mia expertise posso essere di aiuto al mondo ospedaliero che ho scoperto essere estremamente complesso ed articolato e nel quale credo possano essere ben impiegate tecnologie robotiche come quella che stiamo sviluppando. Questa piattaforma non intende assolutamente sostituirsi alla risorsa umana, imprescindibile nel percorso di cura, ma potrà essere adottata per alleviare la pressione sugli operatori sanitari e migliorare l’assistenza ai pazienti.

5×1000. È tempo di scelte.

La tua per noi, sarebbe importante. Una tua firma sulla dichiarazione dei redditi potrebbe aiutarci a concretizzare il nostro impegno nello sviluppare progetti per la medicina dei trapianti. Se vorrai unirti al nostro impegno, il tuo contributo sarà dedicato al progetto INDOOR (usING Drones fOr Organ tRansportation) che ha l’intento di sviluppare e testare l’efficacia, la sicurezza e la fattibilità dell’utilizzo di droni, tecnicamente definiti “Aeromobili a Pilotaggio Remoto”, per il trasporto di materiale biologico e degli organi tra le strutture ospedaliere piemontesi.

Una soluzione, quella di ‘far volare’ campioni biologici e organi, che consentirebbe di rendere il trasporto più veloce, con modalità organizzative più semplici, superando le difficoltà che il trasporto su gomma potrebbe comportare, con costi più contenuti, rendendo il sistema donazione-trapianti più sostenibile. Un salto di qualità per la procedura e per i pazienti che attendono un organo.

Al nostro fianco ci sono il Centro Interdipartimentale per la robotica di servizio (PIC4SeR, Politecnico di Torino), con cui il progetto è sviluppato e alcuni partner istituzionali: il Centro Nazionale Trapianti, il Centro Regionale Trapianti del Piemonte e Valle d’Aosta, l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, il Politecnico di Torino e l’Università degli Studi di Torino e partner tecnici quali ProS3 – specializzata nella progettazione di sistemi aerei a pilotaggio remoto – e Mavtech, società il cui “core” è lo sviluppo di prodotti innovativi per la sorveglianza aerea e per il supporto operativo rivolto ad applicazioni civili.

Se voi condividere il progetto di ricerca INDOOR con noi scrivi, sulla dichiarazione dei redditi, il codice fiscale 97823270018. Ti diciamo anticipatamente il nostro grazie!

Giornata Nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti.

Grazie a tutti! Ai torinesi, innanzitutto che hanno condiviso la nostra iniziativa #Affacciatiallafinestrascattaposta e nella notte tra Sabato 23 e domenica 24 Aprile hanno fotografato e condiviso sui social la Mole Antonelliana illuminata di rosso. Grazie per questa azione ‘virale’ di sensibilizzazione all’importanza della donazione che dona vita a un’altra vita. Se anche tu vuoi essere protagonista di questo generoso atto, al prossimo rinnovo della carta di identità, ti ricordiamo che puoi aderire al progetto “Una scelta in Comune”, dove il termine ‘comune’ ha una doppia valenza: comunitaria, che riguarda tutti, e di ente istituzionale, l’Anagrafe cittadina. «Si tratta di una iniziativa partita nel 2013, con la legge di conversione del Decreto del Fare – spiega Raffaele Potenza, medico del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di Organi e Tessuti di Regione Piemonte – che offre al cittadino l’opportunità di dichiarare la propria posizione, favorevole o contraria, rispetto alla donazione dei propri organi dopo la morte, in occasione del rinnovo della carta di identità». Le dichiarazioni raccolte vengono inserite in un grande database – il Sistema Informativo Trapianti (S.I.T.) – consultabile dal personale del Coordinamento Regionale una volta dichiarato il decesso di un paziente, mentre i cittadini possono consultare l’andamento delle registrazioni in Italia, nella propria Regione o nel proprio Comune, collegandosi al sito istituzionale a questo link. Secondo gli ultimi dati, a fine marzo 2022, sono oltre 12 milioni le dichiarazioni di volontà registrate sul SIT. Il sistema permette ad ogni persona maggiorenne di registrare più dichiarazioni durante la propria vita, offrendo in tal modo ampia libertà di scelta al cittadino. «L’Ufficio Anagrafe  – aggiunge la dottoressa Anna Guermani, responsabile del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di organi e tessuti del Piemonte – non è la sola possibilità per esprimere la propria volontà alla donazione (positiva o negativa): è possibile anche compilare delle tesserine prestampate crociando il sì o il no, fare una libera dichiarazione su un foglio di carta bianca completo dei propri dati anagrafici, data e firma da tenere in entrambi i casi con sé, o presso una sede AIDO (Associazione Italiana Donatori Organi), esprimendo in questo caso solo volontà positiva alla donazione».

 

Il futuro dei trapianti

I trapianti funzionano! A 5 anni il 95% dei pazienti con trapianto di rene è vivo, il 90% fra i trapiantati di fegato, 75% di cuore, 49% di polmone. Naturalmente il miglior successo del trapianto è dettato anche dalla maggior compatibilità tra soggetto donatore e ricevente e la ricerca sta puntando a definire quanto più possibile e con la maggiore accuratezza possibile la più alta affinità fra i due soggetti in relazione a specifici parametri. Le direzioni future della ricerca sui trapianti riguardano lo studio di molti più aspetti del genoma focalizzando l’attenzione a specifiche varianti genetiche (gli antigeni minori di istocompatibilità) e a biomarcatori che possono determinare il maggior rischio di rigetto. Fra questi ultimi, l’analisi del DNA libero circolante. «A seguito della morte della cellule – precisa Amoroso – una quota di DNA proveniente dalle cellule dell’organo trapiantato viene rilasciata nel sangue e può essere analizzata con un prelievo di sangue. Queste informazioni sono già utilizzate per studiare, con la biopsia liquida, le alterazioni genetico-specifiche per tumore e/o per determinare le caratteristiche del genoma fetale in relazione a specifiche patologie genetiche. Nel caso dei trapianti, il DNA circolante permette di riconoscere una variazione della quantità di DNA libero circolante di derivazione del donatore nei riceventi di trapianto per valutare il rischio di rigetto». Ancora in tema di medicina rigenerativa, si sta cercando di capire se sia possibile riparare specifiche funzioni dell’organo senza dover ricorrere al trapianto. «Nel corso di un trapianto di fegato – aggiunge Amoroso – a Torino, sono state prelevate e poi coltivate in laboratorio cellule staminali di origine epatica. Una volta espanse, queste sono state reinfuse nel fegato di 3 piccoli affetti da difetti del ciclo dell’urea: l’inoculazione ha loro consentito di arrivare fino all’anno di età ed essere messi in lista per il trapianto. L’ultimo indirizzo, molto attuale, riguarda l’utilizzo di organi animali umanizzati, ovvero la possibilità di fare ricorso, ad esempio, a organi di maiale, ingegnerizzati con la tecnica di editing genetico CRISP-CAS9. Questa opportunità potrà in parte sopperire alla scarsa disponibilità di organi umani e accorciare le attuali lunghe liste di attesa dei trapianti di organi».

Il 5×1000

Buone notizie per il trapianto di polmone

Gli ultimi dati diffusi dal recente rapporto di qualità del Centro nazionale Trapianti (CNT), riferito all’attività in Italia nel periodo 2002-2019, attestano che il tasso di sopravvivenza a un anno per il trapianto al polmone è di oltre il 71% e a 5 anni quasi del 50%. Il rapporto fornisce una panoramica sull’attività di ogni singola struttura ospedaliera dotata di un centro trapianti di polmone (in Italia ci sono 12 centri specializzati/autorizzati) e dell’intero percorso assistenziale dei pazienti: dall’iscrizione in lista d’attesa alla probabilità di essere trapiantato fino ai risultati dell’intervento. Dal 2002 al 2019 sono stati eseguito, solo per il polmone 2.021 trapianti. «La valutazione degli esiti – ha spiegato Massimo Cardillo, direttore del CNT – è uno dei compiti più importanti del CNT perché consente alla Rete trapiantologica di analizzare nel dettaglio l’attività clinica e assistenziale, di identificare le criticità e di intervenire prontamente per risolverle». Conoscere il numero delle attività dei singoli centri è solo uno dei tasselli che consentono oggi l’efficacia del sistema donazione-trapianti, molto sta apportando la ricerca come, ad esempio, avere scoperto che alcuni geni possono condizionare il rigetto: «Un nostro recente studio – aggiunge il Professor Antonio Amoroso, direttore del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti della Città della Salute, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, e rappresentante di Fondazione D.O.T. (Donazione Organi e Trapianti) – che ha preso in esame 2.700 coppie donatore-ricevente, nello specifico per il trapianto di rene, ha evidenziato che il gene LIMS1 contribuisce a compromettere l’esito del trapianto. Poiché la proteina LIMS1 è espressa anche in altri organi, come cuore e polmoni, ci auspichiamo di poter applicare questa scoperta anche nell’abbinamento di persone compatibili al trapianto per altri organi e di conseguenza migliorare l’esito dei trapianti stessi».

La conoscete la storia dei trapianti?

È lunga e interessante. «Il primo trapianto è testimoniato in un’opera d’arte che ritrae Cosma e Damiano intenti a impiantare un arto di un paziente ferito prelevandolo da una persona deceduta: era il 350 d.c., l’epoca di Diocleziano – racconta il professor Antonio Amoroso, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, nel corso della sua relazione “I trapianti d’organo in Piemonte: storia e prospettive” – tenuta di recente. La storia moderna dei trapianti inizia nell’antivigilia di Natale, circa 70 anni fa, quando Murray eseguì il primo trapianto di rene tra gemelli geneticamente identici, eludendo il rischio di rigetto (che resta ancora la maggiore criticità del successo dei trapianti), ovvero il corpo che non riconosce come proprio il ‘nuovo’ organo impiantato e lo rifiuta. Seguirono, a questo, un trapianto di fegato – altra tappa importante – un trapianto di polmone fino alla vera ‘rivoluzione’ segnata nel 1977 dall’impianto di cuore da un soggetto deceduto, ricevendo notorietà internazionale, fino agli anni ’80 con il primo trapianto combinato cuore-polmoni. L’Italia, in ritardo di circa 10 anni rispetto al resto del mondo, esegue il primo trapianto di rene nel 1966 alla Sapienza (Roma) e negli anni ‘80 quello di fegato cui è seguito il primo trapianto di cuore che, anche da noi, ebbe una rilevanza importante, fino agli anni ’90 con il trapianto di polmone e così via. In Piemonte il primo trapianto di rene è avvenuto il 5 Novembre 1981 alle Molinette, e 10 anni più tardi il primo trapianto di cuore ed il primo di fegato, seguiti a metà degli anni ’90 dal polmone, fino al primo trapianto di pancreas avvenuto a cavallo del nuovo millennio». Gli appuntamenti nella storia dei trapianti sono davvero tanti: i primi trapianti di rene a Novara, i primi trapianti di fegato da vivente, il primo trapianto di solo una parte del fegato,  i primi programmi di trapianti pediatrici, i primi trapianti combinati e molto altro ancora. «Fondamentale – continua Amoroso – nel determinare il successo dei trapianti, è stata l’identificazione e definizione della compatibilità tessutale, ovvero l’abbinamento tra donatore e ricevente di alcuni geni, nel caso specifico dell’uomo dei geni HLA che sono ‘unici’ e differenti in ciascun individuo, e che indicano la compatibilità dell’organo tra donatore a ricevente, aumentando le probabilità di successo del trapianto stesso. Si è anche capito che i geni HLA e le loro specifiche varianti aumentano la propensione allo sviluppo di determinate malattie e che i criteri di istocompatibilità sono fondamentali anche per misurare la risposta immunitaria nel soggetto sottoposto a trapianto». La nascita di questa disciplina nasce negli anni ’60 del secolo scorso, con l’identificazione dei primi geni HLA e delle loro varianti. Da quel momento fino al 2021 si sono scoperti numerosi geni HLA e più di 30.000 varianti di questi geni che sono tutte inserite in un apposito archivio. L’apice dei trapianti, in Italia, è stato raggiunto nel 2017 con quasi 4 mila trapianti di organo solido eseguiti. A questi si aggiungono anche i trapianti di midollo osseo o meglio di Cellule Staminali Emopoietiche: il primo avvenne in America nel 1957 e alla fine degli anni ’80 si registra il primo trapianto di cellule staminali recuperate da cordone ombelicale. E in Italia? Il primo trapianto di midollo ha avuto luogo a Firenze, sebbene la ‘capitale’ per questi specifici trapianti sia Genova, mentre a Torino il primo è stato eseguito su un bambino all’ospedale pediatrico nel 1987 e sull’adulto negli anni ‘90. «Per il trapianto di cellule staminali – precisa il Professor Amoroso – la compatibilità deve essere molto più rigorosa e si sono sviluppati criteri per un abbinamento della compatibilità fra donatore-ricevente ancora più accurato». Oggi nel mondo si fanno all’incirca 70 mila trapianti di cellule staminali ematopoietiche: l’Italia si colloca fra le nazioni con la più alta attività trapiantologica. In particolare, 2/3 dei trapianti sono autologhi, cioè il ricevente è anche colui che dona il midollo osseo, evitando problemi di rigetto che diviene un rischio importante se donatore e ricevente sono invece persone diverse. «I donatori di midollo osseo disponibili nel mondo, iscritti ai diversi registri che sono consultabile per cercale l’abbinamento giusto tra donatore e ricevente sono quasi 40 milioni, più di 650 mila dei quali in Italia e 70 mila solo in Piemonte. La città di Torino è nota anche per i primi trapianti sperimentali su una popolazione di studenti che nel 1969, hanno dimostrato che l’HLA è fondamentale per ‘influenzare’ il buon successo dei trapianti di cute tra familiari. Ricordate: si trapiantano anche tessuti, come cornee, cute, osso, vasi e valvole. Presso l’Ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino sono istituite le 6 Banche regionali dei tessuti nelle quali scegliere possibili donatori compatibili a riceventi. Infine, un ultimo dato: nel mondo solo nel 2019 sono stati eseguiti 153 mila trapianti di organi da circa 40 mila da donatori deceduti.