Un orecchio artificiale

Chi avrebbe mai detto che sarebbe stato possibile realizzare un orecchio stampato in 3D? Non è fantascienza, ma scienza e quest’orecchio realizzato con cellule umane autologhe (della stessa persona) stampato tridimensionalmente, ha consentito il trapianto in una giovane ventenne americana, nata con l’orecchio destro piccolo e deforme. L’innovativo trapianto è avvenuto nell’ambito di una sperimentazione clinica, ancora iniziale su 11 pazienti, ma che apre importanti orizzonti all’uso della stampa 3D.

Un trapianto di fegato in super emergenza

È stato eseguito al presidio ospedaliero Molinette della Città della Salute di Torino, a giugno, su un uomo del Piemonte di 57 anni, a causa di una insufficienza epatica molto grave dovuta a un colpo di calore. Ai soccorritori intervenuti sul luogo – il paziente era privo di sensi vicino ad un rogo di rovi e sterpaglie – le condizioni sono subito apparse molto critiche, tanto da trasportarlo in elicottero in Rianimazione. Qui è stato necessario avviare diverse procedure per abbassare la temperatura corporea che, per il colpo di calore, era superiore a 41°C. A causa del peggioramento della funzionalità del fegato, gli esperti hanno ritenuto necessario fare richiesta urgente per un fegato nuovo. Grazie alla Rete Trapianti italiana, al Coordinamento del Centro Regionale Trapianti del Piemonte-Valle d’Aosta e al Centro Nazionale Trapianti, si è trovato dopo poche ore sul territorio italiano un donatore compatibile. Il paziente è stato sottoposto a trapianto non appena le sue condizioni lo hanno consentito. Operato dal dottor Damiano Patrono, sotto la supervisione del professor Romagnoli, Direttore del Centro Trapianto Fegato Molinette, il paziente è ora in convalescenza presso la struttura torinese. «Quando è necessaria una corsa contro il tempo – ha commentato il dottor Giovanni La Valle, Direttore Generale della Città della Salute di Torino – solo l’eccellenza del sistema trapianti a livello locale e nazionale permette di dare una risposta efficace e salvare la vita dei nostri pazienti».

Un prestigioso riconoscimento alla “rete” italiana dei trapianti

Ci sono eventi che inorgogliscono e ci fanno provare grande stima per i nostri scienziati e ricercatori. È il caso del premio “Anthony P. Monaco Award”, assegnato dalla Transplantation Society al prof. Antonio Amoroso, per avere sviluppato la miglior ricerca traslazionale in ambito trapiantologico del 2021. Di che si tratta? Il Centro nazionale trapianti (CNT), i centri di trapianto e di coordinamento regionale, ancora una volta, hanno fatto “rete” con l’intento di capire se in pazienti trapiantati o in attesa di trapianto, che avevano contratto Covid, potessero essere riconosciuti alcuni caratteri distintivi. Così, i ricercatori hanno raccolto e analizzato i dati di pazienti positivi nella primissima fase della pandemia presenti nel registro di sorveglianza epidemiologica del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (ISS), e li hanno incrociati con i dati del Sistema informativo trapianti, ricavando informazioni sul profilo genetico di 56.304 persone, quasi 48mila pazienti trapiantati e oltre 8mila persone in lista d’attesa per un organo. Hanno così scoperto due informazioni interessanti: la prima riguarda la presenza di uno specifico gene (la variante HLA-DRB1*08) che è stata osservata con maggiore frequenza sia in pazienti positivi al virus, con una probabilità doppia rispetto a pazienti negativi, sia in pazienti morti per Covid-19 in questo caso con una probabilità addirittura tre volte maggiore. La seconda riguarda la ‘geolocalizzazione’ di questa specifica variante genetica presente nel 6% della popolazione italiana, ma che è stata rilevata più di frequente in persone residenti nel Nord Italia (9%) rispetto a quelle del Sud (3%). Cosa ci dice tutto questo? Che la variante HLA-DRB1*08 renderebbe meno efficace il nostro sistema immunitario nel riconoscere e difendersi dal coronavirus. «Partendo dai dati a nostra disposizione di pazienti italiani trapiantati e in attesa di trapianto – ha spiegato il prof. Antonio Amoroso, coordinatore regionale per i trapianti del Piemonte e primo autore dello studio – siamo riusciti a comprendere meglio alcuni meccanismi dell’infezione da covid e sulla sua progressione». Il plauso da tutta la comunità scientifica e dalla “rete”: «Questi risultati – ha concluso Massimo Cardillo, direttore del CNT – sono stati possibili grazie al lavoro sinergico di tutti i centri e laboratori della Rete trapianti sul territorio, delle strutture e banche dati del CNT e dell’ISS: quando si fa sistema la nostra sanità raggiunge l’eccellenza». Il lavoro scientifico è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Transplantation” e i nostri ricercatori saranno premiati il 13 settembre prossimo a Buenos Aires durante il 29° Congresso Internazionale della Transplantation Society.

Permetteteci un remind

Prendiamo a prestito il proverbio “repetita iuvant” per ricordare che la destinazione del vostro 5×1000 a Fondazione D.O.T. (Fondazione Donazione Organi e Trapianti) può fare la differenza e consentirci di fare un importante passo in avanti per il progetto INDOOR (usING Drones fOr Organ tRansportation). Ricordate? I droni – gli “Aeromobili a Pilotaggio Remoto” – renderebbero più agevole, veloce, facile e sicuro il trasporto di materiale biologico e degli organi tra le strutture ospedaliere piemontesi. Tutto a vantaggio del paziente, grazie a procedure organizzative più semplici, dai costi più contenuti, rendendo il sistema donazione-trapianti più sostenibile. Chiunque collabora al progetto in termini pratici, tecnici e scientifici – la nostra Fondazione, il Centro Interdipartimentale per la robotica di servizio (PIC4SeR, Politecnico di Torino), il Centro Nazionale Trapianti, il Centro Regionale Trapianti del Piemonte e Valle d’Aosta, l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, il Politecnico di Torino e l’Università degli Studi di Torino, ProS3, e Mavtech – vi dice un grazie in anticipo! Se vuoi essere dei nostri e contribuire al progetto di ricerca INDOOR scrivi, sulla dichiarazione dei redditi, il codice fiscale 97823270018. 

Scegli di donare!

Impegno, sensibilizzazione, iniziative e coinvolgimento. Sono solo alcuni degli aspetti che consentono, oltre all’expertise, al Piemonte di qualificarsi come la capitale dei trapianti, molto attiva anche sul fronte della comunicazione al cittadino, alle istituzioni, al territorio. Tutte chiamate a partecipare, a esprimere la volontà alla donazione. In questa azione sono scese in campo nella regione le “reti territoriali” – nello specifico 31 coordinamenti ospedalieri del Piemonte (dai più grandi, come Le Molinette di Torino o L’Ospedale Maggiore di Novara, ai più piccoli ma ugualmente fondamentali per il mondo delle donazioni) esposto e distribuito materiale informativo per pazienti, accompagnatori e cittadini in generale incentrato sull’importanza di dichiararsi all’atto del rinnovo della carta di identità. Una campagna di sensibilizzazione che invita il cittadino a informarsi, decidere e firmare. «Sono messaggi condivisi a livello nazionale – spiega Raffaele Potenza, medico del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di Organi e Tessuti di Regione Piemonte – che sottolineano un obiettivo comune che abbraccia l’intero territorio: fare cultura alla donazione. Abbiamo inoltre coinvolto in questa azione di sensibilizzazione la “rete” dei comuni, a seguito del Decreto del fare del 2013, mentre la Nazione ha favorito il coinvolgimento dei Sindaci che, con strumenti dedicati, hanno potuto testimoniare la propria posizione favorevole alla donazione e invitare il cittadino a fare la stessa scelta all’atto del rinnovo del documento di identità. Infine in regione Valle d’Aosta abbiamo lavorato al fianco del CELVA, omologo dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani in tutto il resto di Italia), che è riuscita a coinvolgere tutti i 72 Comuni territoriali. Il nostro obiettivo è mantenere e migliorare sempre più l’alleanza sul territorio, cercando di coltivare l’idea di Paese, dove tutto funziona bene se si mettono insieme varie competenze e realtà: la medicina dei trapianti ne è un emblema. Non potremmo esistere se mancasse l’autista che trasferisce l’organo dalla sede del prelievo alla sede del trapianto, se non potessimo contare sulle forze dell’ordine per agevolare gli spostamenti su ruota o dell’aeronautica per il trasporto su ala, se non ci fossero i chirurghi abili nelle tecniche trapiantologiche e soprattutto se un cittadino, un giorno, in silenzio non decidesse di esprimere il suo sì alla donazione». Un particolare grazie va anche agli operatori anagrafe, che all’atto del rinnovo della carta di identità offrono ai cittadini l’opportunità di dichiarare la propria posizione rispetto la donazione degli organi. «Solo nel 2021 – conclude Potenza – in Piemonte si sono registrate 22 donazioni pari al 15% del totale, avvenute grazie al lavoro degli operatori anagrafe. Cittadini che avrebbero potuto non esserlo in quanto, in alcuni casi la famiglia avrebbe espresso un parere negativo». Infine, ma non ultimo, un riconoscimento va anche a Federfarma e all’Ordine Farmacisti di Torino che hanno divulgato il materiale attraverso il circuito della farmacia. Tante piccole gocce che piano piano capillarizzano nella coscienza della popolazione instillando la volontà alla donazione.

Il Covid non ferma i trapianti

I risultati parlano del successo dell’attività dei trapianti, anche nelle fasi più acute della pandemia. Non solo la macchina donazione trapianti, nel rispetto dei tanti pazienti in attesa di un nuovo organo non si è mai arrestata, ma è stata possibile mantenerla “viva e attiva” anche grazie a pazienti Covid positivi, che hanno salvato almeno 71 vite in 15 mesi. Il bilancio riferisce infatti che da novembre 2020, quando l’Italia per prima ha avviato un programma sperimentale di trapianti in epoca Covid, all’ultimo giorno di emergenza, donatori deceduti positivi al virus hanno consentito l’esecuzione di 5 trapianti di cuore, 45 di fegato intero, 5 di porzione di fegato, 14 trapianti di rene singolo e 2 di rene doppio. «I trapianti – precisa il dottor  Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti – sono stati eseguiti in totale sicurezza e senza nessun caso di trasmissione della malattia. Si tratta di un primato della Rete trapiantologica italiana, riconosciuto anche dalla comunità scientifica internazionale». Le norme di attenzione attivate in epoca Covid proseguiranno anche nel post pandemia, compreso il monitoraggio delle vaccinazioni e dei pazienti vaccinati trapiantati; vi è infatti evidenza che un paziente trapiantato non vaccinato ha un rischio 4 volte superiore di infettarsi con il Sars-CoV-2 rispetto a un trapiantato vaccinato con 3 dosi, e un rischio di letalità a 30 giorni più che doppio. A dicembre 2021, l’84% dei pazienti trapiantati risultava vaccinato e più del 70% aveva ricevuto la terza dose: anche questo è un importante successo.

Roma, “capitale” anche dei trapianti

Non solo Torino, con l’Ospedale Molinette, anche la capitale, nello specifico il Policlinico Umberto I di Roma, si distingue nell’ambito dei trapianti. È stata infatti eseguita la prima donazione a cuore fermo. «La morte di una persona – spiega la dottoressa Anna Guermani, responsabile del Coordinamento Regionale delle donazioni e dei Prelievi di Organi e Tessuti – può essere accertata con criteri neurologici, la “morte cerebrale”, o con criteri cardiaci. In questo secondo caso si deve avere una assenza di battito cardiaco, per un tempo tale da determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche». La donazione da cuore fermo è ancora poco diffusa in Italia, riguarda meno del 5% del totale dei prelievi di organi effettuati ogni anno e incrementare questa procedura è un obiettivo prioritario del Centro nazionale trapianti. «In Italia – continua Guermani – la donazione a cuore fermo può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte mediante l’esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti (contro i soli 5 minuti nella maggior parte dei Paesi europei). Questo tempo – tecnicamente definito “tempo di anossia” – è la soglia che decreta la perdita irreversibile delle funzioni dell’encefalo e quindi la morte dell’individuo. A questo punto si può procedere con il prelievo di organi a scopo di trapianto». Una delle spiegazioni che limitano il ricorso a questo tipo di donazione è la complessità della procedura: «Essa richiede un grande lavoro clinico-organizzativo e tempi ancora più stretti di quelli richiesti per i trapianti da donatori deceduti per morte cerebrale – ha dichiarato il dottor Massimo Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti – ma che portano a risultati ottimali in termini di qualità dei trapianti». Alimentare la pratica sarebbe importante anche per accorciare le liste di attesa: in Italia sono oltre 8mila i pazienti che aspettano un nuovo organo: far crescere il numero delle donazioni a cuore fermo significa avere a disposizione un numero di organi maggiore e salvare più vite. Da cui l’importanza di sensibilizzare la popolazione, creando una cultura alla donazione.

Il traffico di organi

La notizia è balzata alle cronache a fine gennaio ma subito spenta: famiglie afghane in grave carenza di cibo o comunque impossibilitate a procurarselo vendevano i propri organi o dei propri figli, alimentando il mercato e il traffico illegale di organi nel mondo. Alla base del fenomeno c’è un bisogno insoddisfatto: la disparità fra organi disponibili e il numero effettivo di pazienti in attesa di trapianto.

In Italia e in Europa questa pratica è assente, ma è ben consolidata in contesti poveri: Nord Africa, Centro America, Sud est Asiatico. Un mercato che è gestito da organizzazioni criminose complesse: da un broker che tiene i contatti tra donatore e ricevente, un recruiter sul territorio che sonda la disponibilità a donare, un laboratorio e un ospedale. «Spesso queste attività – spiega Massimo Cardillo, direttore Generale del Centro Nazionale Trapianti – si svolgono in cliniche che fanno anche attività legali, secondo un recente report dell’Interpol, da cui la difficoltà di intercettazione ma anche di stima del fenomeno. Di norma si tratta di reni, più facilmente smerciabili e che non implicano la morte della persona».

Oltre al traffico di organi, esistono fenomeni paralleli come il turismo del trapianto allogenico. In Italia questi rischi non sussistono, grazie a forme di controllo o di sostegno alla donazione che porta il sistema una sorta di autosufficienza, ma anche al rigoroso monitoraggio e tracciamento delle donazioni sia da cadavere o da vivente che sono registrate a livello centrale dal Centro Nazionale Trapianti. Inoltre in Itala esiste una legge che dal 2016 prevede sanzioni anche molto pesanti per i clinici che si rendono responsabili di azioni illecite: dalla detenzione all’interdizione perpetua alla professione. «Fondamentale è prevenire il fenomeno – continua Cardillo – rendendo accessibile la procedura a tutti i cittadini e in Italia questo è possibile grazie al sistema universalistico), implementando il monitoraggio di organi e trapianti di italiani che si recano all’estero (e al riguardo esiste un database specifico) per intercettare eventuali situazioni potenzialmente illecite.

Infine disponiamo di una parte terza, cioè uno psicologo, un medico legale e il presidente della Commissione Parte terza (che è il coordinatore di un comitato regionale trapianti) che esamina la documentazione specifica a donazioni trapianti, parla con donatore e ricevente e cerca di capire la motivazione alla donazione, specie se si tratta di donazioni samaritane, ovvero di persone viventi che decidono di offrire un proprio organo a un malato, senza alcun legame familiare o affettivo. Non ultimo in Italia il trapianto da vivente è autorizzato da un Giudice. Con tutte queste norme è difficile ipotizzare un illecito». Infine in ambito trapianti è attiva la cooperazione tra paesi: un mutuo aiuto secondo cui, grazie a specifici accordi fra le autorità competenti (stipulate in Italia dal Ministero della Salute e dal CNR con le altre autorità locale) i Paesi prestano soccorso a quelli in maggiore difficoltà/carenza di organi al fine di offrire ai pazienti una possibilità terapeutica che salva la vita.

Xenotrapianti: una annosa questione

Stanno destando molta attenzione gli xenotrapianti, ossia organi sani prelevati da animale, più di frequente maiali, poi impiantati nell’uomo. La pratica è stata pensata e avviata per sopperire alla carenza di organi umani, una realtà con la quale ci si confronta sempre e che può mettere a rischio la vita dei pazienti in attesa di un trapianto d’organo, e comunque rappresentare una potenziale “soluzione” per accorciare le lunghe liste di attesa.

Tuttavia, recenti eventi stanno evidenziando alcune criticità legate a questa tipologia di trapianti, o meglio alla “fonte” dell’organo donato. «In America – spiega il Professor Antonio Amoroso, direttore del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti della Città della Salute, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, e rappresentante di Fondazione D.O.T. (Donazione Organi e Trapianti) – in un paziente sottoposto a trapianto di cuore geneticamente modificato da maiale sono state trovate tracce di un virus che attacca specificatamente i suini. A due mesi dal trapianto, l’uomo è morto sollevando diversi dubbi sull’utilizzo di organi animali quale possibile veicolo per introdurre nell’organismo umano nuovi agenti patogeni che non appartengono alla nostra specie. L’ipotesi è che il virus trovato nel DNA del paziente possa aver contribuito al fallimento del trapianto, sebbene i medici sostengano che non vi siamo prove della stretta relazione né sembra che l’uomo abbia avuto reazione di rigetto al cuore trapiantato, geneticamente modificato proprio per evitare questo rischio».

Qual è il messaggio che ricaviamo da questa esperienza? «Lo xenotrapianto potrebbe essere una potenziale opportunità – continua Amoroso – ma prima che possa diventare una realtà effettiva, entrando nella pratica clinica quotidiana, occorre far fronte e risolvere diversi aspetti: il rigetto innanzitutto, e l’utilizzo di organi OGM non è sempre la soluzione, assicurare il corretto funzionamento dell’organo trapiantato nel nuovo ospite, trattandosi comunque di un organo proveniente da una specie diversa da quella umana, ridurre quanto più possibile le probabilità di ingresso di nuovi agenti patogeni nell’organismo umano con potenziale diffusione  nella specie. Infine non possono essere trascurati problemi di ordine diverso da quello puramente clinico: questioni di natura teologica, antropologica, psicologica ed etica, fino a problematiche di carattere legali e procedurali». Insomma, una questione davvero complessa.

Epatiti fulminanti pediatriche in Italia: qual è la situazione?

L’attenzione al fenomeno da parte degli esperti è altissima ma la preoccupazione è ad oggi bassa: non si registra infatti un aumento anomalo del numero di epatiti di origine virali da virus minori rispetto a quelle che di norma si osservano in Italia. Questo dato fa ben sperare, anche grazie all’impegno e alle importanti misure di ‘sicurezza’ adottate dagli epatologi e epatologi pediatri sul territorio. «L’attenzione è tale – spiega il dottor Pier Luigi Calvo, epatologo, responsabile della Gastroenterologia Pediatrica del Presidio Regina Margherita dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – che l’Italia risulterà il primo paese in Europa, Inghilterra esclusa, per numero di casi segnalati: attualmente sono 35 di cui 12 in Lombardia e 6 in Piemonte, tutti riferibili a bambini sotto i 16 anni, con transaminasi >500 (solidamente si aggirano a 20-30), quasi tutti senza segni di insufficienza epatica».

I casi che devono maggiormente preoccupare, tra quelli segnalati, sono quelli che interessano bambini sotto i 6 anni che presentano dolore addominale, vomito, diarrea, ittero (colorito giallo della pelle) e transaminasi alte: così si sono presentati molti dei casi che hanno portato poi ad una indicazione al trapianto di fegato in Inghilterra. «L’“anomalia” – prosegue l’esperto – riguarda il fatto che non si tratta delle classiche epatiti di tipo A, B, C o E da cui l’interesse a raccogliere quante più informazioni possibili, monitorando il fenomeno per capire cosa stia succedendo. I dati raccolti in Italia finora rassicurano e non vi è alcun allarme che i casi attuali siano riferibili a un fenomeno anomalo per numeri e manifestazioni».

Sull’evento si sono fatte, comunque, varie ipotesi e la più probabile riguarda il coinvolgimento di un adenovirus: dei 163 casi oggi globalmente registrati, 126 sono stati testati per adenovirus e 91 sono risultati riconducibili ad esso. «Si ritiene, pertanto – conclude Calvo – che possa trattarsi di una “normale” infezione da adenovirus. Dopo il periodo di lock-down abbiamo assistito a un aumento delle infezioni virali soprattutto in bambini molto piccoli, dunque la mancata esposizione a agenti virali potrebbe essere una spiegazione plausibile. Oppure si sta pensando a una suscettibilità anomala, maggiore, da parte dell’ospite dovuta a una precedente infezione da Sars-CoV-2 che fungerebbe da fattore scatenante, ma l’ipotesi resta meno probabile. Il vaccino non ha alcuna (cor)relazione con l’epatite, infatti la maggior parte dei bambini non era vaccinato».

In attesa di informazioni più precise, si continua a tenere alto il livello di sorveglianza, aumentando se necessario le misure di attenzione adottate. Come si stima possa evolvere la situazione? Difficile fare previsioni certe, come Covid-19 ha insegnato.