Il traffico di organi
La notizia è balzata alle cronache a fine gennaio ma subito spenta: famiglie afghane in grave carenza di cibo o comunque impossibilitate a procurarselo vendevano i propri organi o dei propri figli, alimentando il mercato e il traffico illegale di organi nel mondo. Alla base del fenomeno c’è un bisogno insoddisfatto: la disparità fra organi disponibili e il numero effettivo di pazienti in attesa di trapianto.
In Italia e in Europa questa pratica è assente, ma è ben consolidata in contesti poveri: Nord Africa, Centro America, Sud est Asiatico. Un mercato che è gestito da organizzazioni criminose complesse: da un broker che tiene i contatti tra donatore e ricevente, un recruiter sul territorio che sonda la disponibilità a donare, un laboratorio e un ospedale. «Spesso queste attività – spiega Massimo Cardillo, direttore Generale del Centro Nazionale Trapianti – si svolgono in cliniche che fanno anche attività legali, secondo un recente report dell’Interpol, da cui la difficoltà di intercettazione ma anche di stima del fenomeno. Di norma si tratta di reni, più facilmente smerciabili e che non implicano la morte della persona».
Oltre al traffico di organi, esistono fenomeni paralleli come il turismo del trapianto allogenico. In Italia questi rischi non sussistono, grazie a forme di controllo o di sostegno alla donazione che porta il sistema una sorta di autosufficienza, ma anche al rigoroso monitoraggio e tracciamento delle donazioni sia da cadavere o da vivente che sono registrate a livello centrale dal Centro Nazionale Trapianti. Inoltre in Itala esiste una legge che dal 2016 prevede sanzioni anche molto pesanti per i clinici che si rendono responsabili di azioni illecite: dalla detenzione all’interdizione perpetua alla professione. «Fondamentale è prevenire il fenomeno – continua Cardillo – rendendo accessibile la procedura a tutti i cittadini e in Italia questo è possibile grazie al sistema universalistico), implementando il monitoraggio di organi e trapianti di italiani che si recano all’estero (e al riguardo esiste un database specifico) per intercettare eventuali situazioni potenzialmente illecite.
Infine disponiamo di una parte terza, cioè uno psicologo, un medico legale e il presidente della Commissione Parte terza (che è il coordinatore di un comitato regionale trapianti) che esamina la documentazione specifica a donazioni trapianti, parla con donatore e ricevente e cerca di capire la motivazione alla donazione, specie se si tratta di donazioni samaritane, ovvero di persone viventi che decidono di offrire un proprio organo a un malato, senza alcun legame familiare o affettivo. Non ultimo in Italia il trapianto da vivente è autorizzato da un Giudice. Con tutte queste norme è difficile ipotizzare un illecito». Infine in ambito trapianti è attiva la cooperazione tra paesi: un mutuo aiuto secondo cui, grazie a specifici accordi fra le autorità competenti (stipulate in Italia dal Ministero della Salute e dal CNR con le altre autorità locale) i Paesi prestano soccorso a quelli in maggiore difficoltà/carenza di organi al fine di offrire ai pazienti una possibilità terapeutica che salva la vita.